Le religioni si chiedono chi abbia creato l’Universo. 

La scienza si interroga su come sia nato e, in subordine, se nell’Universo ci siano altre forme di vita. 

L’Astronomia genetica si domanda se l’Universo sia in sé vita, se cioè è possibile pensare a questo Universo (senza peraltro escludere altri Big Bang e altri Universi) come a un organismo vivo e vitale, di cui la Terra e il Sistema solare non sono che una parte infinitesimale, atomica, della struttura (del tessuto) che lo compone.

Se si accoglie l’ipotesi secondo la quale la nascita dell’Universo non è stato un accadimento accidentale ma, come per le nascite che conosciamo, il frutto di circostanze non casuali ma causali legate all’espressione di una Intenzione in grado di determinarne l’accadimento e di orientarne gli sviluppi nel tempo, la naturale conseguenza è solo una: l’Universo non è solo una creazione: è esso stesso una creatura, un organismo vitale di dimensioni incalcolabili: qualcosa di singolarmente (nel senso di unitario) e ‘specialmente’ fecondato e vivente. E se così stanno le cose, la Terra – che da quell’evento iniziale è derivata – altro non è che una minuscola parte di quell’organismo misterioso che, a quanto pare, è tuttora in espansione (e quindi in crescita). 

Forse è venuto il momento di farsene una ragione.

varanasi 01.jpeg

HANS JOACHIM KHOTSTATER

(Vienna 1873 – Dresda 1945)

 

Una breve biografia

 

 

 

Hans Joachim Khotstater nacque in Austria, a Vienna, nella casa di famiglia al quartiere di Baumgarten, nel mese di maggio del 1873. Il giorno esatto in cui sua madre, Sara Weber, lo mise al mondo è tuttora incerto, anche se da una lettera scritta da Hans in età giovanile a un amico italiano (1) si deduce che la data potrebbe essere quella del giorno 10, un sabato.

Il 1873 fu un anno particolarmente travagliato per i viennesi. La crisi economica causata dal fallimento della Esposizione Universale ebbe conseguenze assai pesanti sul tenore di vita di molte famiglie. Pare tuttavia che la famiglia Khotstater sia riuscita a superare questo periodo senza particolari difficoltà.

Il padre, Karl, svolgeva l’attività di contabile presso una piccola bottega artigiana nella quale si fabbricavano matite e pastelli. Gran parte dei clienti erano i giovani studenti della Kunstgewerbeschule, la Scuola d'arte e mestieri del Museo austriaco per l'Arte e l'Industria.

Karl, a quanto è dato sapere, era un amante della pittura e della musica, e praticava da dilettante entrambe queste arti con passione amatoriale.

Sara, madre che Hans ricorda, rifacendosi ai racconti del padre, come donna “dolce e sensibilissima” (2), si innamorò giovanissima di Karl proprio per averne colto questo lato romantico e artistico. Di lei si sa soltanto che, pur di umili origini e sesta di una nidiata di dodici tra fratelli e sorelle, aveva imparato a suonare il violino dal nonno materno, singolare vegliardo che in tarda età, pur non mancando di mezzi propri, amava offrirsi all’attenzione e anche alla generosità dei passanti, allietandoli la domenica mattina all’angolo della cattedrale di Santo Stefano, in Stephansplatz, quando i viennesi si recavano alla messa.

Sara morì “di febbri” (probabilmente di setticemia) all’Imperiale Regio Ospedale di Vienna poche settimane dopo avere dato alla luce Hans Joachim, cui furono dati rispettivamente i nomi del nonno paterno e materno.

Che il padre di Sara, e quindi il nonno di Hans, avesse un nome tipicamente ebraico (Joachim), ebraico come quello della madre (Sara), induce all’ipotesi che la famiglia materna non fosse estranea, almeno in origine, alla comunità ebraica di Vienna, a quel tempo già numerosa, integrata e florida.

I cognomi delle due famiglie (Weber e Khotstater), tuttavia, sembrano non rispondere a questa appartenenza e, nonostante le ricerche fino ad ora effettuate, non hanno condotto a indicazioni utili sulla loro origine. La dichiarata e radicale indifferenza del padre per ogni forma di affiliazione religiosa, del resto, conduce all’ipotesi che Hans non sia stato neppure battezzato (3). In questo quadro si spiegherebbe l’impossibilità di rintracciare, almeno fino a oggi, qualsiasi registrazione anagrafica presso gli uffici parrocchiali prossimi al luogo della nascita.

L’infanzia e la giovinezza di Hans Joachim, per quanto è dato sapere (4), trascorsero in un clima di serenità. In nessun documento rintracciato si dice se il padre Karl si sia risposato dopo la morte di Sara. Tutto lascia credere che abbia condotto una vita solitaria, affidandosi per la crescita e l’educazione dell’unico figlio all’ausilio della sorella Angela, più anziana di lui di qualche anno e nubile. È proprio un ancora giovane Hans ad avere lasciato traccia di questo rapporto “speciale” con la “zia Angela” in una lettera, ricca di riferimenti e aneddoti, inviata a un compagno di studi (5).

Se non è chiaro quanto abbiano influito le passioni artistiche paterne sulla formazione del giovane, appare invece certo che egli trovò precocissimamente nella scrittura, per usare le sue stesse parole “la forma prediletta di indagine e di espressione” (6).

Affascinato da autori contemporanei come Gerhart Hauptmann e Maurice Maeterlinck (7), egli diresse ben presto il proprio interesse, e realizzò i suoi primi lavori, concentrandosi sulla descrizione delle sue osservazioni naturalistiche e dei comportamenti degli animali. Furono questi interessi, probabilmente, la porta d’ingresso alle sue successive indagini dell’animo umano, con i suoi segreti inconsci e i suoi complessi meandri.

Degli studi del giovane Hans si conosce assai poco. Probabilmente non frequentò, se non per i primissimi anni, corsi scolastici regolari. Successivamente, attorno ai 13-14 anni, iniziò ad aiutare il padre, nel frattempo ammalatosi di tubercolosi, nel suo lavoro di contabile, apprendendo tutto quanto c’era da imparare per sostituirlo, appena sedicenne e alla sua morte (1889), nel suo posto in bottega.

Proprio da Karl il giovane Hans ereditò anche una “educazione a ciò che ogni uomo dovrebbe sapere della vita” che lasciò su di lui un segno indelebile. “Quell’uomo che tanto ho amato e al quale tanto poco ho saputo dimostrare il mio amore”, scrive nel suo diario molti anni dopo la scomparsa del padre, “mi ha insegnato che non si deve mai diventare professionisti delle proprie passioni”, poiché questa è l’unica possibilità “per non tradirne mai lo spirito di libertà e di bellezza” (8).

La frase può apparire ambigua, ma acquista chiarezza quando si comprenda che le “passioni” di cui il giovane discuteva – spesso animatamente – con il padre, erano le “espressioni d’arte e di intelletto che sole hanno ragione di governare la vita di un uomo, nella ricerca di quello che ha in sé e di ciò che può dare affinché la sua esistenza abbia un senso” (9).

Da questa precisa e consapevole determinazione a non esercitare “professionalmente” il proprio talento, qualunque esso fosse, quasi esistesse il timore di mercificare la pura espressione della propria natura, discende probabilmente il fatto che per tutto l’arco della sua lunghissima esistenza non un solo scritto, né letterario né scientifico, trovò pubblicazione, diffusione o anche solo una qualche notorietà.

 

Hans Joachim Khotstater scomparve, è proprio il caso di dirlo, nella notte del 13 o del 14 febbraio 1945. Si trovava a Dresda, in visita a un amico di cui, tuttavia, non ci è giunto il nome. Sappiamo solo che si trattava di un professore di storia le cui iniziali erano M.S..

Questi dettagli, oltre all’informazione che Khotstater aveva lasciato l’Austria tra il Natale e il Capodanno precedenti, sono giunti a noi per puro caso. Sono infatti contenuti nelle ultime pagine del Diario redatto sul Quaderno Nero del 1944, quaderno lasciato da Khotstater nella sua abitazione austriaca, in vista dell’avvio di una nuova raccolta di scritti, su un nuovo Quaderno, in occasione dell’inizio dell’anno successivo. Ma il nuovo Quaderno relativo al 1945 è scomparso con il suo autore sotto le macerie di una casa di Dresda, in quel terribile febbraio. Nelle notti tra il 13 e il 15, infatti, un bombardamento a tappeto condotto congiuntamente dalla Royal Air Force britannica e dalla United States Army Air Force statunitense provocò nella città tedesca, simbolo dell’umanesimo barocco, un numero di vittime civili stimato tra le 18 e le 25mila, con molte decine di migliaia di feriti. Nel trambusto che seguì, il nome di Hans Joachim Khotstater si disperse, bruciato come quello di innumerevoli altri uomini e donne, senza lasciare traccia.

Da molti anni, la vita dell’anziano Hans era solitaria e volutamente isolata. Può essere un caso, ma dall’inizio del 1933, quando egli era appena sessantenne, improvvisamente i suoi diari subirono alcune modifiche significative. Una di queste, apparentemente impercettibile, si evidenzia all’inizio di ogni scritto. Rimane infatti l’abitudine a registrarne la data, ma scompare il nome della località nella quale lo scritto viene redatto (e che negli anni precedenti erano state soprattutto Vienna e Salisburgo).

In secondo luogo si riducono drasticamente le descrizioni di nuovi casi, come se Hans avesse ridotto al minimo i propri pazienti, sostituite da considerazioni e riflessioni personali. È come se, a poche settimane dall’emanazione delle prime leggi tedesche discriminatorie nei confronti dei cittadini ebrei, e con largo anticipo sulle leggi razziali dell’autunno 1935, Hans avesse scelto un luogo di residenza diverso da Vienna (forse uno di quei piccoli borghi del salisburghese dove negli anni precedenti aveva trascorso lunghi periodi di vacanza, era accettato e poteva contare su qualche amico), conducendo anche una vita assai più ritirata.

In ogni caso nulla, nei Quaderni che coprono il periodo 1933-1934, assai scarni rispetto a quelli degli anni precedenti, si riferisce al clima e alla situazione politica di quel periodo. L’assenza di ogni eco di cronaca è tale da fare ritenere che Hans sia passato indenne attraverso la bufera in corso, fino al giorno in cui decise, probabilmente per qualche serio motivo e certamente non per un impensabile viaggio di piacere, di raggiungere M.S. a Dresda.

Certo è che, anche dopo la sua morte, Hans non venne meno alla sua misteriosa e peculiare attenzione per la riservatezza. Nel ritrovare molti decenni più tardi e per coincidenze davvero singolari i suoi scritti (ben ordinati in decine di quaderni dalla copertina nera, con le lettere in scatole di latta destinate un tempo a contenere biscotti) colpisce il foglio di accompagnamento posto al di sopra di essi, nel quale si chiede con tono perentorio a chiunque trovasse quei lavori “di non darne alcuna evidenza per i cinquanta anni successivi alla mia morte, in nessuna forma e neppure per accenni”. Lo scritto termina con una richiesta specifica e, per certi versi, stravagante come chi la espresse. “In ogni caso e in perpetuo”, recita, “chiedo la più grande riservatezza sulla diffusione di qualsiasi notizia riguardante la mia persona” (9).

In questo quadro non sorprende che la ricostruzione della sua vita (e in specie dei suoi rapporti con quella parte del mondo suo contemporaneo che tanto lo affascinava, quello delle nascenti correnti e scuole scientifiche psichiatriche e psicoanalitiche) sia massimamente problematica.

Certamente egli ebbe modo di conoscere e studiare le teorie e gli scritti di Sigmund Freud e di Carl Gustav Jung, così come le opere di molti altri “pionieri dell’anima e della mente” che si avviarono, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, lungo i sentieri inesplorati dell’inconscio.

Da alcune pagine dei suoi diari si ricava anche la convinzione che Hans Joachim Khotstater abbia personalmente partecipato a conferenze, congressi, riunioni, pur non esistendo una prova evidente di una sua presenza o di un suo coinvolgimento in ambienti quali, per esempio, il Circolo psicoanalitico di Vienna, città nella quale trascorse gran parte della sua vita. Il suo premeditato rifiuto a un coinvolgimento diretto in questi ambienti non venne, a quanto pare, mai meno. Di più, la “non professionalizzazione” della sua “passione” gli offrì la possibilità di esercitare il ruolo di “osservatore esterno” rispetto alle molte diatribe e ai molti contrasti che travagliarono i rapporti tra i maggiori studiosi dell’epoca, diatribe e contrasti sui quali egli si esprime sempre severamente.

Ora che sono ampiamente trascorsi i cinquanta anni di silenzio richiesti da Hans Joachim Khotstater per i suoi scritti, e nel rispetto della sua richiesta di riservatezza circa la vita personale (rispetto che è causato, in verità, anche da una oggettiva carenza di informazioni), la lettura dei diari e delle altre opere di questo straordinario personaggio ci può trasmettere in pieno il quadro segreto della sua attività di psicologo e di scrittore (si direbbe di scrittore della psicologia), attento a registrare la quotidiana avventura di decine e decine di persone – centinaia nel corso degli anni – che in lui, uomo sconosciuto e quasi “invisibile”, videro un punto di riferimento, e non di rado di salvezza, per i loro drammi e le loro angosce, le loro paure, le loro speranze.

Pur trattenuti dal pudore che Hans Joachim Khotstater chiede e che intendiamo onorare, dobbiamo infine ricordare in queste pagine una figura che nella sua vita pare avere rivestito un ruolo di fondamentale importanza.

Hans Joachim, a quanto emerge dalle ricerche fatte, non si sposò mai. Ma ebbe una compagna che dai primi anni del secolo scorso fino al 1913, quando morì, gli fu accanto con una intensità senza pari.

Karen (questo il suo nome, mentre nulla si conosce della sua famiglia) pare essere stata una di quelle figure femminili la cui forte presenza è tutta nella discrezione del proprio modo d’essere, e nel garbo del sapersi muovere sullo sfondo, ma non al margine, della scena.

Karen, non c’è dubbio, fu il grande amore di Hans Joachim Khotstater. Le lettere scambiate nei periodi di lontananza, taluni frammenti degli scritti ai pochi, intimi amici soprattutto dopo la morte di lei e di cui rimangono solo alcune minute, ne sono l’inequivocabile testimonianza.

Karen morì di parto. Non è dato tuttavia sapere se il bimbo (o la bimba) che diede alla luce, sia sopravvissuto, e se quindi ci siano, oggi, discendenti viventi di Hans Joachim Khotstater.

Il suo silenzio al riguardo, da quel tragico giorno del 1913, è assoluto.

Ma quella di Karen, come tutte le storie d’amore, è – per il momento almeno – un’altra storia.

 

NOTE

 

(1)    Lettera a Ludovico Cianci, datata Vienna, 12 luglio 1892 – Archivio Khotstater – rep. S-92/018

(2)    Ivi

(3)    Ivi

(4)    Qualche informazione al riguardo è contenuta negli scritti raccolti sotto il titolo Fiabe del bosco e della palude, qui pubblicati per la prima volta.

(5)    Lettera a Adam Krupp, datata Vienna, 3 giugno 1889 – Archivio Khotstater – rep. S-89/021

(6)    Diario 1907 – Archivio Khotstater – rep. SS-07/142

(7)    Gerhart Johann Robert Hauptmann (1862-1946) fu poeta, drammaturgo e romanziere tedesco. Figlio di tessitori caduti in povertà e diventato garzone di uno zio agricoltore per sostentarsi, studiò da autodidatta, riuscendo infine a frequentare corsi di belle arti a Breslau e a Roma. Le sue prime opere nel mondo della letteratura si riferirono al movimento naturalista, del quale divenne rapidamente il massimo esponente. La sua personalità poliedrica lo portò sovente oltre i confini del naturalismo per esplorare, con genuina ispirazione, le zone dell’intimismo, del neoromanticismo, del simbolismo. Fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1912.

Il conte Maurice Polydore Marie Bernard Maeterlink (1862-1949) fu poeta, commediografo e saggista belga. Nato a Gand da una famiglia benestante francofona, si recò ben presto a Parigi. Fu nella capitale francese che entrò in contatto con il nascente movimento simbolista e alcuni dei suoi maggiori esponenti, come Adam Villiers de l’Isle, dal quale fu particolarmente influenzato, e Stéphane Mallarmé. Fu in questo periodo che venne affascinato dalla scoperta del misticismo tedesco del XIV secolo riletto da Novalis e dal romanticismo dei fratelli Friedrich e di August von Schlegel, che del simbolismo erano stati i precursori. Divenuto celebre nel 1890 grazie a una entusiastica recensione dei suoi scritti da parte dello scrittore e giornalista Octave Mirbeau, ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1911. In questa sede è opportuno richiamare un aspetto particolare e meno noto della produzione di Maeterlinck, costituito dai saggi naturalistici di chiara tradizione ottocentesca e pubblicati a partire dall’inizio del ‘900. I più conosciuti sono quelli compresi nella trilogia sugli “insetti sociali”: le api, le termiti e le formiche.

(8)    Diario 1905 - Archivio Khotstater – rep. SS-05/087

(9)    Ivi – rep. SS-05/089

(10) Lettera, senza data – Archivio Khotstater – rep. S-45/001

 

 

 

 

 

 

 

hans joachim khotstater bn.jpeg
quaderni neri 1.jpeg
quaderni neri 2.jpeg
le fiabe del bosco e della palude.jpeg