Le religioni si chiedono chi abbia creato l’Universo.
La scienza si interroga su come sia nato e, in subordine, se nell’Universo ci siano altre forme di vita.
L’Astronomia genetica si domanda se l’Universo sia in sé vita, se cioè è possibile pensare a questo Universo (senza peraltro escludere altri Big Bang e altri Universi) come a un organismo vivo e vitale, di cui la Terra e il Sistema solare non sono che una parte infinitesimale, atomica, della struttura (del tessuto) che lo compone.
Se si accoglie l’ipotesi secondo la quale la nascita dell’Universo non è stato un accadimento accidentale ma, come per le nascite che conosciamo, il frutto di circostanze non casuali ma causali legate all’espressione di una Intenzione in grado di determinarne l’accadimento e di orientarne gli sviluppi nel tempo, la naturale conseguenza è solo una: l’Universo non è solo una creazione: è esso stesso una creatura, un organismo vitale di dimensioni incalcolabili: qualcosa di singolarmente (nel senso di unitario) e ‘specialmente’ fecondato e vivente. E se così stanno le cose, la Terra – che da quell’evento iniziale è derivata – altro non è che una minuscola parte di quell’organismo misterioso che, a quanto pare, è tuttora in espansione (e quindi in crescita).
Forse è venuto il momento di farsene una ragione.
UNO
IL SORRISO
“Scusa, signore…”. Una bambina di forse sei anni, capelli ispidi e rossi, efelidi brune sulle guance, occhi verdi smeraldo, un grembiulino crema bordato di rosso, e il sorriso che solo una bambina così può donarti in una nobile giornata di sole e di tramontana, tra monti ancora coperti di neve e le abetaie scure. Comparsi all’improvviso, lei e il suo sorriso, da dietro le pietre del lavatoio che costeggia il sentiero verso la chiesa.
“Posso fare qualcosa per te?”.
“Forse sì, forse no. Non lo so”.
“Di cosa si tratta?”.
“Ho saputo che vieni da lontano”.
“E’ vero. Non da molto lontano ma da abbastanza lontano”.
“E ho saputo anche che scrivi storie”.
“Quante cose sai di me…”.
“E che queste storie sono fiabe”.
“E’ vero. A volte sono fiabe”.
“E che storie sono le fiabe?”
“Sono storie che volano”.
“Volano?”.
“Esattamente. Ci sono esseri che vivono sulla terra, come anche noi uomini e donne e bambini e bambine. Ci sono esseri che vivono nel mare e nuotano fino all’orizzonte. Ci sono esseri che vivono nell’aria, e volano ad ogni altezza, a volte tra i fiori, a volte così lontano da diventare invisibili a chi sta sulla terra. Le fiabe sono storie che volano: sono di questa specie”.
“Come le farfalle?”.
“Come le farfalle”.
“E tu che le scrivi sai volare?”.
“No, io non so volare. Sono qui sulla terra, come te. Ma loro, se divento piccolo piccolo, possono farmi volare, prendermi sulle loro ali e portarmi in giro per il cielo. Se non fosse per loro non potrei farlo”.
“E come scrivi una fiaba?”.
“Vado in giro e la cerco. Ma non la trovo. E’ impossibile trovarla”.
“E allora?”.
“Allora vado in giro come uno che la cerca. E che ha voglia di trovarla anche se sa che non ci riuscirà”.
“E poi?”.
“E poi, come per magia, perché le fiabe sono magiche, è lei che mi trova. E quando mi trova è bell’e fatta”.
“E come fai a sapere che ti ha trovato?”.
“Questo non è così facile da spiegare. Quando dico che vado in cerca anche se so che non sarò io a trovarla, non vuol dire che faccio finta di cercare. Io cerco davvero, con tutto il cuore. Io so che da qualche parte lei c’è e che vede che ho voglia di trovarla, ed ecco che salta fuori”.
“Salta fuori?”
“Si. Salta fuori non so da dove, perché nessuno sa da dove venga una fiaba. Però ecco che la trovo dentro di me, nella mia mente, nel mio cuore, nelle mie dita, dappertutto”.
“Mi sembra proprio strano”.
“Non è così strano, se ci pensi bene”.
“Cioè?”.
“Fai un bel respiro. Fallo col naso, visto che siamo in mezzo all’erba e ai fiori. Senti l’aria che entra? Senti il profumo di fieno tagliato?”.
“Mmmm, certo”.
“Ora l’aria è entrata dentro di te, è diventata te. Anzi tu sei qui perché l’aria è diventata te, la tua vita. E anche il profumo è diventato te, uno dei colori della tua vita. E già stai respirando ancora. Così entrano anche le fiabe, come l’aria, come il profumo”.
“Ho capito. E oggi sei in cerca di fiabe?”.
“Certo. Come sempre”.
“E qualcuna ti ha trovato?”.
“Credo di si”.
“Davvero? E me la racconti?”.
“Di solito le scrivo…”.
“No, dai, ti prego signore, raccontamela. A me nessuno mi racconta mai una fiaba”.
Mi sono fermato, appoggiato al muretto che costeggia il viottolo, e lei si è seduta sul muretto di fronte, in attesa, le mani in grembo e le gambette penzoloni.
“C’era una volta un sorriso. Un gran bel sorriso che tuttavia era triste. Non aveva infatti un luogo dove stare. Per quanto girasse di qua e di là, di borgo in borgo, di castello in castello, tutti i volti ai quali si rivolgeva chiedendo ospitalità non si degnavano neppure di rispondergli, presi com’erano dalle loro preoccupazioni, dalle loro ansie, dalle loro paure.
Non erano solo i grandi a essere così seri e tristi. Tutti, anche le bambine e i bambini sembravano avere dimenticato cosa fossero la gioia e la felicità.
Il sorriso, in questa grigia situazione, si rese conto che se anche lui si fosse arreso a tutta quella tristezza che lo circondava, se anche lui si fosse trasformato in una bocca reclinata all’ingiù e in uno sguardo spento, non ci sarebbe stata più nessuna speranza per quella povera umanità. Si sentiva solo, certo. Ma anche da solo avrebbe dovuto cercare di ribaltare quel mondo addormentato. Ne aveva tutta la voglia.
Accadde tutto il lunedì, il giorno del mercato. Istruì galline e maiali, conigli e tortore, capre e mucche, e a metà mattina, mentre le donne si trascinavano a fare le loro compere, tutti gli animali iniziarono a cantare a squarciagola. Gli asini ragliavano a più non posso, le mucche muggivano, galli e galline starnazzavano in maniera incontenibile.
Il rumore fu tale che gli uomini che lavoravano nei campi accorsero, ma all’ingresso del villaggio ecco che il torrente si era improvvisamente ingrossato travolgendo il ponte di legno e impedendo loro di avanzare.
Nel frattempo anche le ragazze e i ragazzi della scuola avevano abbandonato le loro aule e, incuranti delle urla delle severissime insegnanti, si erano precipitati in strada. Il prete, immaginando una catastrofe, si era attaccato alle campane della chiesa aumentando ancora di più il frastuono e la confusione.
Sopra i banchi del mercato le galline danzavano come una vera compagnia di ballo, i conigli compivano esercizi da circo saltando in ogni dove, asini e mucche avevano intonato un coro di difficile comprensione ma di eccezionale effetto. Fu allora che comparvero dal fondo della strada gli uomini, che erano riusciti a guadare il fiume e, fradici fino all’osso, avanzavano cercando di capire quale tragedia fosse accaduta.
“Guardate!”, gridò a quel punto una bambina, e additò nel cielo azzurro e senza nuvole un grande arcobaleno che, tuttavia, era capovolto rispetto all’arcobaleno normale. Scendeva dalla montagna a lato della valle e con il suo tratto di arco più basso sfiorava i tetti delle case del paese attraversato dal volo radente delle rondini e poi risaliva sul lato opposto della montagna.
Fu proprio da quella bambina, dagli occhi stupiti di quella bambina, che uscì il primo sorriso e le si fermò sul volto, come d’incanto.
Accanto a lei, stupiti da quella novità, altri sorrisi uscirono dagli occhi delle donne, degli uomini, delle ragazze e dei ragazzi. Tutti si guardarono come mai si erano guardati e nel silenzio generale e magico che si era creato (gli animali avevano smesso tutti insieme, contemporaneamente, di cantare e di ballare), per la prima volta si videro.
Dalla porta della locanda partì allora una grande risata.
Era il locandiere, una pinta di birra tra le mani, aveva improvvisamente ricordato che, quando era bambino, era usanza comune festeggiare e ridere, danzare e cantare. E quel ricordo, improvvisamente riaffiorato come una realtà possibile, gli stava facendo rinascere il cuore.
Il sorriso capì che il suo compito era terminato. Ora poteva trovare casa e fermarsi felice. Si guardò intorno. Tutti ora erano disponibili ad accoglierlo.
Ma lui scelse una bambina di forse sei anni, con i capelli ispidi e rossi, tante piccole efelidi brune sulle guance, gli occhi colore del verde smeraldo, e un grembiulino crema bordato di rosso. E non la lasciò più”.